lunedì 14 novembre 2011

Il lungo braccio della legge


Non tutte le notti in ambulanza sono movimentate a Milano, ci sono quelle serate che passano senza particolari avvenimenti e che si apprezzano perché permettono di dormire un numero di ore sufficiente così da non rimanere debilitati il giorno dopo la notturna.
Ci sono poi le nottate che non finiscono mai, quelle che sono tutte una tirata di interventi fino alle 8 del mattino e che portano con se tutto un sacchettino di domande su chi ce l'abbia fatto fare che i grazie pure scarseggiano. Ma anche in queste notti, tra una cosa seria e un'altra, c'è spazio per il tipico servizio pacco che consta in una perdita di tempo, ma che ci permette di affrontare un discorso nuovo rispetto a quelli già fatti su queste pagine: il paziente da recuperare nelle camere di sicurezza della Questura.

Quando arriva la chiamata in codice giallo già è chiaro che cosa si andrà a fare, spesso la chiamata dalla Questura non è niente di buono e si traduce in un paziente esagitato che, per i motivi più diversi, ha bisogno delle attenzioni di un medico.
Nel caso di cui parlo, già come entriamo nella zona adibita alle camere di sicurezza si fa limpida la situazione: attorniato da agenti più o meno interessati troviamo un uomo sulla quarantina che lamenta dolori di ogni genere dalla schiena alla testa, e non solo, lo fa nella maniera più plateale possibile avanzando ipotesi di malattie terribili tra ernie killer, febbri gialle e paralisi momentanee.

Da uno sguardo ai poliziotti non è difficile intuire che il tono melodrammatico della descrizione dei sintomi sia cosa nota e abituale, ipotesi che viene suffragata dal continuo insorgere di diverse patologie che non fanno che spingere verso un viaggio diretto all'ospedale.
Viene un sospetto, e il bravo soccorritore si confronta con le forze dell'ordine per avere più dettagli possibili così da aiutare il paziente: alla domanda sul perché della presenza del soggetto in camera di sicurezza scopriamo che è in stato di arresto per aggressione e resistenza a pubblico ufficiale. Praticamente è stato fermato per un controllo, ma alla richiesta dei documenti si è dato alla fuga scatenando la reazione degli agenti che lo hanno acciuffato e, dopo una colluttazione particolarmente combattuta, ammanettato e tradotto in Questura.
Lo studioso di procedura penale sa che nel caso in questione (arresto in flagranza di reato) si procede per rito direttissimo, e cioè il nostro paziente sa già che la mattina dopo è atteso in tribunale per l'udienza che deciderà sul suo prossimo futuro, basta fare due più due per capire che sta facendo il possibile per ritardare l'incontro con il giudice usando il vecchio trucco dell'ambulanza.

Detto questo, se una persona sta male e vuole andare all'ospedale, non è che lo si lascia lì, e così lo portiamo a fare un controllo scortato da due agenti, i quali si premurano di sottolineare la sua condizione al pronto soccorso.
La nostra serata, lasciato il paziente, continua in soccorso di altre persone, ma il caso ci riporta nello stesso ospedale circa due ore dopo la nostra prima visita: non c'è più traccia di paziente e poliziotti, sappiamo da un infermiere che, vista la particolare situazione, sono stati accorciati i tempi così da rilevare la (prevedibile) assenza di ogni patologia e permettere il ritorno in Questura dell'allegra combriccola.
Un esito che si poteva indovinare, e che conferma che per fregare il sistema ci vuole qualcosa di più di un'attitudine alla recitazione. Non molto di più, solo qualcosa.




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mercoledì 2 novembre 2011

TIA: Attacco Ischemico Transitorio



La triste vicenda di Antonio Cassano ha portato alle luci della ribalta l'attacco ischemico transitorio, o TIA, dall'acronimo della definizione anglosassone. Ovviamente non è mai bello quando qualcuno sta male, soprattutto se si tratta di una persona relativamente giovane, ma cogliamo l'occasione per fare un po' di chiarezza sul TIA e sulle possibili cause di uno degli eventi medici che si incontrano con una certa regolarità facendo i soccorritori in ambulanza.

Cos'è un TIA? Sappiamo tutti che il cervello è un po' la centralina di comando del nostro corpo, sappiamo anche che per funzionare necessita di una discreta quantità di sangue, potremmo vederla un po' come un computer che ha bisogno della corrente elettrica. Vista l'importanza dell'attività cerebrale, i vasi che trasportano il liquido ematico sono molti e diffusi un po' dappertutto attorno all'organo, un po' come se il computer avesse un cavo d'alimentazione per la tastiera, uno per il mouse, uno per lo schermo e via dicendo. Cosa succede se togliamo la corrente a uno di questi cavi? Semplicemente l'apparecchio collegato smette di funzionare, e così succede durante un TIA, che è l'interruzione momentanea di flusso sanguigno ad una determinata area del cervello causata da un embolo che "tappa" il vaso. Diciamo momentanea, nel senso che ogni interruzione superiore alle 24 ore passa di livello e viene promossa ad ictus.
Durante il TIA dunque, una limitata area cerebrale rimane senza corrente, e le funzioni controllate da quell'area si interrompono: è così che i sintomi sono molto variabili a seconda della zona colpita, si va dalla cecità alla paresi passando per l'impossibilità di parlare.

Durante il corso per diventare soccorritori esecutori si viene preparati all'incontro con l'attacco ischemico transitorio dato che è un evento che capita con una certa frequenza. Il TIA si manifesta un po' come ce lo si immagina: il paziente smette di parlare, non riesce a muovere una parte del corpo o sembra imbambolato, ma come dicevamo le possibilità sono molte. La cosa che colpisce è la scomparsa dei sintomi, così come sono arrivati, infatti, spariscono gradualmente dando proprio l'impressione di un apparecchio che viene riattivato dopo un blackout. Piano piano il paziente si riprende, inizia a rispondere alle domande e, se l'attacco è durato poco, non riporta neanche gravi danni.

Quello che ha fatto scalpore nel caso di Fantantonio da Bari è la sua età. L'attacco ischemico transitorio è relativamente comune tra le persone anziane, ma raro tra i giovani. Questo dipende anche dai motivi dell'insorgenza, che sono legati ad una situazione fisica più tipica delle persone avanti con gli anni.
Detto questo è ovviamente possibile un TIA ad ogni età, non ci sono limiti, ma è chiaramente più difficile: la lista delle cause possibili comprende tra le altre la malformazione, l'ipertensione, le cause genetiche e l'utilizzo di alcune sostanze simpaticomimetiche con effetto vasocostrittore, il cui esempio più comune è probabilmente la cocaina.


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venerdì 28 ottobre 2011

La pulizia dell'ambulanza



L'igiene è importante, soprattutto se si parla dell'igiene negli ambienti dove sono trattate le persone con qualche problema di salute.
Ora, io non sono per niente uno di quei fanatici ossessionati dal lavaggio delle mani o dalla disinfezione, ma quando si opera come soccorritori su un'ambulanza bisogna alzare il livello d'allerta vista la particolare condizione in cui ci si trova.

In ambulanza sale un po' di tutto: dall'ubriacone all'incidentato passando per il senzatetto, è tutto un fiorire di liquidi organici, germi e schifezze varie. Tutte queste schifezze poi se ne stanno in uno spazio relativamente ristretto, anche se per poco tempo, e sono sostituite dalle schifezze analoghe del paziente successivo, insomma, in ambulanza è fondamentale tenere pulito perché sennò si farebbe un servizio di trasporto malattie invece che di trasporto pazienti.

Il primo accorgimento che si usa è il telo: una specie di coperta plastificata che viene stesa sulla barella prima di farci sdraiare il paziente così da prendere due piccioni con una fava. Prima di tutto si evita il contatto diretto con materiali più influenzabili dalle condizioni igieniche o di salute del trasportato, e in secondo luogo si facilita incredibilmente l'operazione di pulizia. Infatti, depositato il nostro passeggero al pronto soccorso, si procede alla pulizia del telo con un prodotto appositamente studiato, e si sostituiscono federe e lenzuolini monouso ammesso che siano stati usati.
Nella stragrande maggioranza dei casi questa è l'unica operazione necessaria, il paziente medio non sporca in giro, ma può succedere di dover adottare qualche accorgimento in più in casi particolari, non sempre legati alla gravità delle condizioni del paziente, ma a volte semplicemente conseguenza del comportamento dello stesso.

Faccio un esempio: una notte, verso le 4, veniamo chiamati in codice rosso per un incidente auto-auto in circonvallazione esterna, una delle vie più trafficate anche in piena notte. I presupposti per una situazione tragica ci sono tutti, quindi in ambulanza ci si prepara a gestire un arresto cardiocircolatorio o in generale una o più lesioni gravi. Quando arriviamo poi la situazione non è delle migliori: illuminata dai lampeggianti della Polizia Locale una macchina giace a testa in giù sopra un letto di vetri, ma non c'è traccia dell'autista al volante. Lo individuiamo pochi metri più in la, tranquillamente seduto per terra, che parla al cellulare. La meccanica del sinistro non è chiarissima, ma sono questioni della Locale e noi ci limitiamo a caricare il paziente in ambulanza alla volta del pronto soccorso designato. Qui comincia la parte che ci interessa in questa sede: il nostro automobilista è sporco di sangue, non in maniera incredibile, ma comunque ne ha in quantità su mani e testa, di solito una persona in quelle condizioni se ne sta buona in attesa di essere trattata, lui invece inizia a toccare in giro un po' tutto. Allunga le mani verso i cassetti, verso l'aspiratore, verso parti della barella mai toccate prima da comuni mortali. Insomma, dopo averlo lasciato in ospedale siamo costretti ad una pulizia straordinaria.


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lunedì 24 ottobre 2011

Saturday night fever



Per i meno anglofoni: la febbre del sabato sera. Sì perché a Milano, il sabato sera, sembra che l'aria prenda  una composizione chimica diversa e si colori di chissà quali misteriose molecole, etanolo soprattutto.
Il sabato nella capitale lombarda è segnato dalle zone della movida meneghina: San Lorenzo, i navigli, Brera, senza contare i vari locali sparsi più o meno a macchia di leopardo per tutto il territorio urbano che sputano in strada gente alla ricerca di una dimensione parallela, alla ricerca di un mondo diverso dalla routine di tutti i giorni.

La porta principe per la diversità si chiama sbronza, e i maggiordomi di questo fantastico mondo alcolico siamo noi, i soccorritori. Siamo maggiordomi nostro malgrado, non è che uno decida di indossare la divisa arancione per andare a raccattare gente ubriaca fradicia. A quanto pare non c'è abbastanza sofferenza nel mondo occidentale che le persone se la cercano, o forse è solo una questione di noia, di soggetti incastrati in un lavoro odiato, ce ne sono tanti e molti di questi cercano una via d'uscita priva di pensieri.
Va bene, cercherò di non fare la paternale, che di ciucche me ne sono prese tante anche io, ma mi chiedo come si possa stare così male da dover chiamare un'ambulanza. Ora, a tutti capita di esagerare, e a molti capita di esagerare proprio tanto, ma non ho personalmente visto mai nessuno perdere quel minimo di dignità che ti trascina fino all'androne più scuro dove smaltire lontano da occhi indiscreti.
A quanto pare invece i ragazzi oggi si ubriacano e poi si spaventano, non reggono lo stupore della sostanza e chiamano i soccorsi tutti preoccupati, ma dov'è il senso?

Il sabato sera, a Milano, capita che passando per un pronto soccorso a caso si stupiscano se non ci si porta dietro il solito ragazzo ubriaco, cioè, se gli porti uno con una colica fai qualcosa di strano.
La cosa che stupisce è che nelle zone stracolme di persone alla ricerca di qualcosa di eccitante poi non ci sia particolare allarme alla vista di qualcuno stramazzato al suolo, qualcuno magari chiama il 118, ma i più continuano la loro serata come se nulla fosse, che tanto è normale umiliarsi in pubblico.
Allora arriviamo noi, tentiamo l'approccio morbido e non otteniamo niente, proviamo con le stimolazioni dolorose e non otteniamo niente, allora cerchiamo di indirizzare il paziente verso una zona meno in vista così da evitare future chiamate al pronto intervento, che tanto il tizio in questione ha solo bisogno di dormire. Dorme senza orgoglio, senza onore, senza giacca. Dorme per terra, e lunedì torna in ufficio a fingere.


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lunedì 17 ottobre 2011

La gente della notte



La notte è diversa. Non è solo una questione di luce, di stanchezza o di negozi chiusi, è proprio un mondo parallelo legato da fragili ponti con la vita di tutti i giorni.
Il buio avvolge cose e persone con un aura di mistero, gli androni dei palazzi diventano ricovo per senzatetto e sbandati, i giardinetti raccolgono i soggetti più strani con la facilità con cui si raccolgono i funghi senza ciabatte in piscina, le macchine diventano strane creature, predatori di semafori lampeggianti incredibilmente silenziosi e rapidi. Ci si danno gli appuntamenti più strani la notte, per fare le cose più strane, le cose che la luce del giorno mette a nudo e non tollera. La notte è il momento per andare a lucciole, ce ne sono tante, per tutti i gusti e in tutte le zone della città. Si spegne il sole e si accendono le insegne al neon dei locali per soli uomini (o uomini soli, come si dice), lap-dance, american bar, night club, alcuni prestigiosissimi e con l'obbligo della giacca, altri poco più che bettole prese in prestito da un sobborgo di qualche scalcagnata città caraibica.

Di notte si puliscono le strade, ed è impressionante quanti cumuli di spazzatura vengano lasciati in giro.
Di notte si sporcano le strade, ed è impressionante quanta gente "sporca" venga lasciata in giro.
Al buio lavorano anche i soccorritori, e con una posizione privilegiata: la divisa permette di rompere facilmente lo sguardo torvo di chi nella notte ci vive, quello sguardo tipico del sospetto e dell'esperienza. La nostra divisa permette di avvicinarsi, le divise più sul blu invece sono guardate da lontano, in un guardie e ladri che ha come parco giochi tutta la città, si rincorrono in continuazione e durante le uscite in ambulanza capita di incrociare più volte la stessa pattuglia nelle zone più diverse.

Le sirene dell'ambulanza (e non solo le nostre) di notte funzionano meglio. Il rumore non è coperto dal sommesso borbottare dei motori, e la luce blu schiaffeggia palazzi e finestre incautamente lasciate senza protezione. Ma la gente della notte non si scompone molto, è assolutamente normale per loro vedere sfrecciare un qualche mezzo di soccorso, noi siamo gli abitanti della notte che al contrario degli altri fanno di tutto per essere visti, e spicchiamo in mezzo a una popolazione che si mescola abilmente alle ombre.

La notte è più bella, quando si termina il servizio e si lascia la sede per tornare alla vita di tutti i giorni, tra le 6 e le 7 del mattino mentre tutto si sta rimettendo in moto, si sente la mancanza di quella dimensione parallela, il giorno è così chiassoso e costruito, mentre la notte anche la nostra sirena trova un posto tra gli altri rumori.
La notte, la maschera che portiamo non regge, appassisce, e si vede sotto.


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venerdì 14 ottobre 2011

Calma e sangue freddo



Giusto nello scorso post si parlava di come capiti spesso di ricevere chiamate per un anziano caduto, quando un sabato pomeriggio dunque ci mandano in codice giallo per una caduta in casa sappiamo già cosa aspettarci, anche se il 118 non è prodigo di dettagli.

Arriviamo sul posto, è una splendida giornata di sole primaverile e la squadra è allegra, prepariamo già barella e sedia cardiopatica (si cerca di evitare ai pazienti anziani di camminare, soprattutto se sono reduci da una caduta) e ci avviamo su per le scale.
Una volta al piano veniamo accolti dal figlio del padrone di casa, è abbastanza agitato e ci indirizza verso la stanza dove è avvenuto l'evento di nostro interesse, facciamo per aprire la porta e ci si para davanti una scenda che definirei senza grossi problemi come inaspettata: su una poltrona, in un angolo, sta un signore sull'ottantina, si guarda in giro con l'aria di chi fatica a stupirsi delle cose, che ne ha viste tante lui, e ci accoglie con un cortese "Buon pomeriggio". Dal lato opposto c'è un letto sfatto, ai piedi del quale giace mugolante una signora sulla quarantina, sporca di sangue e con una pozza dello stesso che si estende tutt'attorno alla testa.
Come ci avviciniamo alla signora sale forte l'odore del vino, e capiamo che qualcuno nella stanza ci ha dato dentro con l'alcolico succo d'uva e, così ad occhio, il nostro signore composto non ha affatto l'aria di chi alza il gomito. Insomma, la caduta non è dell'anziano, è la badante ucraina che si è presa una ciucca di tutto rispetto di sabato mattina ed è capitombolata dal letto battendo la testa contro lo spigolo del comodino.

Non si finisce mai di vederne, la situazione (volendo ignorare le condizioni della paziente) ha del comico: il badato che chiama il 118 per la badante caduta in casa, un'inversione dei ruoli inaspettata e resa ancor più surreale dalla calma serafica del nostro vecchietto che ci spiega come, una volta alzato, si sia stupito per l'assenza del suo aiuto domestico e, trovandola in quelle condizioni, abbia con molta serenità chiamato l'ambulanza e il figlio senza alzarsi dalla poltrona, con una sicurezza degna del miglior Clint Eastwood. La badante dal canto suo si sta riprendendo, chiama a raccolta tutta una serie di divinità che purtroppo sfuggono alla rubrica del soccorritore medio per poi finire con l'evocare l'Altissimo in suo aiuto. E' abbastanza convinta di essere più di la che di qua, probabilmente il sangue l'ha impressionata, ma anche se ha un brutto taglio sull'arcata sopracciliare così ad occhio supererà il trauma.


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mercoledì 12 ottobre 2011

L'età dell'ambulanza


"E gli anni passano,
i bimbi crescono,
le mamme imbiancano..."
(Tutte le mamme, 1° premio Sanremo '54)

Molto italiano come pezzo, solo a noi poteva venire in mente di fare una quasi ninna nanna dedicata alla mamma, per fortuna che Battiato ci ha ironizzato su nella sua Bandiera Bianca ("...com'è difficile restare padre, quando i figli crescono e le mamme imbiancano...") alleggerendo un po' quella retorica tipica di una certa canzone italiana (ma il dubbio che fosse sincera ingenuità rimane ancora). 
Vedo occhi smarriti, e ci credo! Di colpo sembra che qui sia cambiato l'argomento e si stia incominciando a parlare di musica, ma tranquillizzo subito i lettori dicendo che la citazione d'apertura mi serviva per introdurre il tema di oggi: l'età più comune dei pazienti che richiedono un'ambulanza al 118.

La citazione mi faceva comodo perché, se volessimo identificare il paziente in percentuale più comune, si tratterebbe proprio di quelle mamme imbiancate (o nonne, o senza volere affibbiare una connotazione parentale semplicemente anziane) di cui cantavano negli anni cinquanta tra i fiori della città ligure.
Mi sono chiesto se fosse veramente il caso di mettere a nudo la situazione di debolezza in cui si finisce con l'arrivo della senilità, ma alla fine su queste pagine preferisco dire le cose chiaramente e, dopo aver parlato di travestiti, barboni, fessi e gente instabile, è arrivato il momento delle vecchine.

Prima di tutto dobbiamo dire che da un certo punto di vista è pure cosa buona che gli interventi più comuni siano richiesti da anziani, vuol dire che i giovani stanno bene e che tutto sta andando secondo natura, ma dall'altro ci si rende conto di come spesso le persone di una certa età vengano lasciate un po' a loro stesse e di come in realtà sia necessario un continuo occhio di riguardo. In secondo luogo è il caso di chiarire una cosa: perché mi concentro sulle mamme imbiancate e non sui papà ingrigiti? Ma perché per una questione genetica le donne vivono più a lungo dei maschietti e così è ovvio che le vedove siano di più delle sposate o dei vedovi.
L'evento più comune per i pazienti più comuni è la caduta: che si tratti di caduta in casa o per strada è un evento che, contrariamente a quanto l'esperienza insegna ai giovanotti, può portare con se un bel grappolino di tristezze. Prima di tutto si prendono le facciate e ci si taglia tutti, la pelle degli anziani è più delicata e ci vuole meno, poi si rischia di rompere qualche osso, oppure di lussare qualche articolazione tanto da impedire la riconquista della posizione eretta. Quindi, se in mezzo alla strada c'è sempre qualcuno che aiuta, questo può essere invece un problema se il paziente è solo in casa, succede più di quanto si possa pensare che l'anziano caduto passi anche un giorno intero per terra prima che qualcuno si accorga dell'accaduto, il che porta con se anche l'impossibilità di andare in bagno con le ovvie conseguenze.

Purtroppo la disattenzione per i nostri anziani è materia comune a tutte le classi sociali, i soldi possono pagare una badante, ma non possono tenere compagnia al paziente. Si assiste dunque a un'inversione delle fortune, con le persone meno abbienti che sono più portate a solidarizzare tra loro, forse per un'abitudine maturata nel corso della vita, mentre le anziane benestanti sono aggrappate alle sporadiche visite dei nipotini.
Attenzione, è chiaro che se arriva l'ambulanza è perché c'è un problema, quindi i racconti che faccio io non sono specchio di tutta la società, ma solo di quella parte della società che chiama il 118.


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lunedì 10 ottobre 2011

La crisi epilettica


Chi è quel coso giallo nell'immagine di apertura? Molti di voi l'avranno riconosciuto, agli altri presento Pikachu, il più famoso dei Pokemon. Cosa c'entra Pikachu con l'epilessia? Forse ricorderete che, qualche anno fa, un episodio del famoso cartone animato venne bloccato a seguito di una crisi epilettica che colpì quasi settecento bambini in Giappone proprio mentre guardavano lo pseudotopo giallo emanare luci intermittenti. Si trattava di epilessia fotosensibile, e mi pareva un buon modo di iniziare pacioccosamente un post dedicato ad un tema invece molto delicato.

Il soccorritore, durante il servizio in ambulanza, incontra relativamente spesso l'epilessia. Abbiamo già detto qui di come ci sia una curiosa incidenza di epilettici tra i senzatetto, ma ovviamente non parliamo soltanto di loro dato che l'epilessia, nonostante colpisca meno dell'uno percento della popolazione italiana, è una malattia che, quando si manifesta, nella stragrande maggioranza dei casi porta con se una chiamata al 118.

La chiamata è quasi certa perché la crisi epilettica (o almeno quella che noi tutti intendiamo come tale) è un evento particolarmente appariscente che consiste in perdita di coscienza e spasmi muscolari, sfido io a non chiamare un'ambulanza.
Dicevamo dunque che il soccorritore incontra relativamente spesso l'epilessia, vero, ma incontra relativamente di rado la crisi. Infatti quest'ultima non dura più di qualche minuto al massimo ed è difficile che i soccorsi riescano ad arrivare prima della fine dell'episodio interessante. Se il paziente non si è fatto male dunque, il lavoro del soccorritore consiste esclusivamente di monitorarne rapidamente i parametri e di trasportarlo in ospedale in caso desideri accertamenti, certo, nel caso invece il paziente abbia colpito qualcosa, o peggio, si sia morso la lingua allora le cose si fanno più dure.

Dato il tardo arrivo dei soccorsi rispetto alla crisi sarebbe bene che gli astanti fossero in grado di dare una risposta consona al presentarsi degli spasmi, ma ci sono dei luoghi comuni che rischiano di fare più danni di quanti ne prevengano. Vediamo dunque come comportarsi in caso si assista ad una crisi epilettica.
La prima cosa da fare è, ovviamente, chiamare (o far chiamare) il 118. Prima arriva l'ambulanza e prima i soccorritori possono intervenire sul paziente.
Effettuata la chiamata si devono allontanare dal paziente tutti gli oggetti contro i quali può involontariamente sbattere: se siamo all'aperto, per esempio ad un bar, bisognerà allontanare tavolini, sedie e camerieri. Nel caso la crisi non sia così grave da gettare a terra il paziente si può cercare di sorreggerlo senza però costringerne i movimenti, cercare di contenere le convulsioni infatti è uno degli errori più comuni che può danneggiare tutte le persone coinvolte.
Cosa fondamentale da fare è inserire nella bocca del paziente qualcosa che possa mordere, una cintura è l'esempio classico, così da impedirgli di ferirsi la lingua. L'emorragia a questo muscolo infatti è una delle più difficili da gestire, un po' perché sono presenti molti vasi sanguigni, e un po' perché il sangue che fuoriesce copioso rischia di soffocare il paziente. Attenzione però a non afferrare la lingua con le dita per proteggerla, si rischia di dire addio per sempre a qualche falange mentre si rimane stupiti da quanta forza possa esprimere un essere umano con un morso.
A crisi terminata bisogna lasciare che il paziente riposi e fare attenzione a eventuali fenomeni di vomito che potrebbero intervenire rischiando di occludere le vie aeree.

L'eziologia dell'epilessia non è ancora precisamente nota alla scienza medica nonostante ci siano delle cure, risulta dunque fondamentale una corretta trattazione delle crisi, con pochi semplici accorgimenti infatti si possono prevenire le più gravi conseguenze.


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venerdì 7 ottobre 2011

Tecnologia in ambulanza



La scomparsa di Steve Jobs parrebbe un evento lontano da queste pagine, un evento che non riguarda chi opera come soccorritore in ambulanza. Ora, da un certo punto di vista è senza dubbio così, ma dall'altro è occasione di riflettere su come la tecnologia cambi le nostre vite e su quanta ce ne sia a bordo dei mezzi di soccorso.

La pubblica assistenza è cambiata radicalmente negli ultimi anni, e lo fa a ritmi sempre maggiori in una spirale di evoluzioni che ha come punto d'arrivo (inarrivabile) la perfezione. Il fatto che non si possa arrivare in cima però non vuol dire che si debba smettere di salire, ed ecco dunque che, con cadenza più o meno regolare, le apparecchiature in dotazione agli MSB (Mezzi di Soccorso di Base) vengono aggiornate.

Partiamo dal vano guida dove, oltre all'ovvio navigatore satellitare (da non usare in emergenza, è bene che l'autista sappia dove sta andando a prescindere da aiutini esterni), troviamo la radio che ci collega alla nostra sede, la radio del 118, e il computer di bordo, vero signore del cruscotto.
Se la funzione delle radio è abbastanza ovvia, potrebbe meritare qualche spiegazione il computer di bordo: si tratta di uno schermo sensibile al tocco tramite il quale si comunica con la centrale operativa del 118. Sul computer arrivano le chiamate dettagliate (oltre al luogo, anche l'evento, il nome del paziente, l'età, le coordinate satellitari per ogni evenienza e varie informazioni extra) e dal computer si mandano gli aggiornamenti in centrale (dove si trova l'ambulanza, vari dettagli sull'effettiva natura della missione e altro ancora). Insomma, è chiaro che grazie ad uno strumento del genere l'operato delle ambulanze è reso più semplice e tempestivo grazie alla tecnologia, basta pensare a tutti i passaggi "centralinistici" saltati.
Da ultimo, collocato nei sedili anteriori solo perché si trova attaccato alla giacca del capo equipaggio, troviamo il rilevatore di monossido di carbonio, novità degli ultimi mesi.

Passiamo al vano posteriore, dove si tratta effettivamente il paziente, dove si trovano tutti i presidi medici e dove la tecnologia è tanta. Si va dalla centralina che controlla areazione, ossigeno, luci, stato delle batterie e sicuramente altro che al momento non ricordo, ai presidi che effettivamente ci portiamo a spasso fuori dall'ambulanza e che meritano una trattazione pezzo per pezzo.
L'aspiratore è un aggeggio che... beh, aspira. E' pensato per risucchiare liquidi (biologici e non) dalle vie aeree del paziente permettendo così l'ossigenazione.
L'elettrocardiografo portatile (o ECG per noi intimi), ci permette di controllare approfonditamente la situazione cardiaca del paziente e di comunicarla elettronicamente alla centrale operativa direttamente con lo stesso apparecchio.
Il DAE, il defibrillatore automatico esterno, somministra una scarica elettrica mirata a regolarizzare il ritmo cardiaco. Non riporta in vita la gente, e infatti non scarica se il battito è completamente assente. Alla sua accensione si avvia un una registrazione che raccoglie tutto quello che succede attorno all'apparecchio trasmettendolo, ad operazioni concluse, alla centrale per garantire il corretto svolgimento delle procedure. Da segnalare che il DAE va utilizzato all'interno di un protocollo più ampio che comprende il massaggio cardiaco, di cui abbiamo parlato qui.
Last but not least abbiamo il saturimetro che permette di misurare la percentuale di emoglobina legata ad un gas (si spera ossigeno). Applicato a un dito del paziente emette un raggio laser che controlla che i globuli rossi stiano girando carichi, non è in grado di dirci che cosa trasportino, ma in situazioni standard si tratta di ossigeno (per esempio, in caso di monossido di carbonio, il saturimetro trasmetterebbe magari dati a prima vista confortanti a fronte di una situazione invece tragica).
Ci sarebbero anche termometro e sfigmomanometro elettrici, ma sono strumenti che si trovano in molte case e che non meritano una trattazione dedicata.

Probabilmente ho lasciato indietro qualcosa, ma anche dalle apparecchiature elencate ci si rende conto di quanto sia fondamentale la tecnologia nel primo soccorso. Solo dieci anni fa le cose non erano così semplici e magari fra dieci anni lo saranno ancora di più.


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mercoledì 5 ottobre 2011

I tempi d'intervento



Il tempo che passa tra la chiamata dell'utente al 118 (ma questo discorso vale anche per 115, 112 e 113) è spesso vissuto da chi aspetta i soccorsi come eterno: i secondi si allungano e i minuti sembrano non passare mai, poi, da lontano, si sente la sirena. Ma cosa succede nell'arco temporale che va dalla chiamata all'arrivo di soccorsi? E come mai a volte ci vogliono pochi minuti e a volte magari passa un quarto d'ora?

Il primo fattore in grado di modificare il tempo di risposta della macchina dei soccorsi è chiaramente l'entità dell'intervento richiesto. Abbiamo già parlato qui dei codici di missione e di come il colore assegnato influisca non poco sulle tempistiche: con un rosso (o un giallo) si arriva in poco tempo, il verde (senza sirena) invece si fa attendere.
Dobbiamo poi calcolare la distanza dell'mezzo di soccorso inviato: se partiamo da una colonnina vicino alla zona d'intervento è chiaro che ci vorrà meno rispetto ad un invio dall'altra parte della città. Ovviamente la centrale del 118 sa dove si trovano le sue ambulanze e invia quella più vicina, ma può capitare che i mezzi in zona siano già impegnati costringendo così un equipaggio lontano ad attraversare quartieri su quartieri.
L'orario della chiamata influisce sulla velocità di risposta in maniera indiretta, quello che influisce direttamente è il traffico. Infatti, se la chiamata arriva alle 3 del mattino, le strade sono quasi deserte e sfrecciano una via l'altra, se la chiamata arriva invece alle 18, quando tutti escono dagli uffici, ecco che anche fare un paio di incroci può diventare un'impresa non da poco, che si sia in sirena o meno.
Diciamo però che l'assenza di traffico notturno è bilanciata dal fatto che i soccorritori invece di stare in ambulanza in attesa stanno dormendo in un letto, e quindi ci vuole quel paio di minuti per infilarsi gli scarponi e scendere in ambulanza (non si pensi che la si prenda comoda però, se arriva un codice rosso in meno di un minuto l'ambulanza è già in moto).

"Sai qual'è il bello del caos? E' equo." Così diceva Joker ne Il Cavaliere Oscuro, e in effetti non possiamo che convenire con lui, funziona persino con l'anagramma. Il caso è equo, e anche il caso (non certo il caos) può essere uno dei fattori che vanno a influire sui tempi di risposta della macchina dei soccorsi. Se la chiamata arriva da una via conosciuta all'autista non si perde tempo a controllare, se ci sono dei lavori stradali inaspettati il tragitto si allunga, se si buca una gomma, o peggio, se l'ambulanza fa un incidente ecco che il 118 deve far intervenire un altro mezzo, insomma, il caso ci mette il suo zampino e può (non necessariamente) avere la sua parte.

Ecco dunque che se arriva un codice rosso, alle cinque del mattino, per un incidente stradale, nel giro di cinque minuti sul posto ci sono due ambulanze, due autopompe dei Pompieri, due auto della Polizia Locale, l'Automedica e una jeep dell'esercito che passava di lì e si è fermata a vedere se serve aiuto.
Se invece la chiamata arriva alle 21:30, in verde, per un tizio che ha alzato il gomito al ristorante e gli amici non sanno bene come continuare la serata, allora la cosa può andare più per le lunghe.


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lunedì 3 ottobre 2011

Un mese de il Lettighiere



Di solito questi post si fanno dopo un anno di vita, oppure alle 10.000 visite, ma lasciatemi prendere una pausa dai consueti racconti di notti e giorni in ambulanza per dare un'occhiata all'andamento di questo blog nel suo primo mese di vita. Mese che, anticipo subito, è andato oltre le mie più rosee aspettative!

Ho deciso di iniziare a scrivere questo blog perché mi sembrava non ci fosse inspiegabilmente niente di simile in giro per la rete: nessun blog dedicato all'esperienza del soccorritore in ambulanza, nessun blog dedicato al 118 a Milano (e, perché no, anche nel resto d'Italia che mi sa che i miei racconti vanno più o meno bene dappertutto), e soprattutto nessun blog scritto da me. Ecco dunque che ho maturato un po' di idee (vè che trovare un nome non è stato facile), preso l'indirizzo http://lettighiere.blogspot.com e fatto la grafica (oddio, non è che sia un'opera da esporre al MOMA, ma, dai, non è male comunque).

Ma bando alle ciance, com'è andato questo primo mese de il Lettighiere?

VISITE: 777
MEDIA VISITE AL GIORNO: 25,9
PUNTA MASSIMA: 59
PUNTA MINIMA: 3

Non male per un blog appena nato, credo, non ho molta esperienza in materia. Languono un po' i commenti, solo due, ma del resto quella di spingere all'interazione l'utenza è un'annosa questione per i siti internet. Se da un lato infatti sui social network come Facebook e Twitter è tutto un fiorire di commenti e "Mi piace", sui blog è tutto un altro discorso e per cento persone che guardano solo una commenta. Si chiamano lurker in gergo, sono gli utenti silenziosi, e sono la maggioranza. Ora, non che sia un particolare problema, anzi, solo che un po' di interazione in più non mi dispiacerebbe anche per sapere il parere di chi capita su queste pagine (colgo l'occasione di ringraziare quelle due persone che l'hanno fatto: daje).

Bene, niente paura, non è che ora mi metterò a fare un post di questo genere ogni mese, per le statistiche ci rivediamo tra un anno, ma mi piaceva rendere partecipi i miei venticinque lettori (aaah! Cita Manzoni! Genio! Colto! Sottile!) di quelli che considero risultati positivi.


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venerdì 30 settembre 2011

A pensar male si fa peccato...


A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. O almeno questo è quello che dice Giulio Andreotti (o almeno questo è quello che gli viene attribuito), ed è una regola più o meno applicabile a ogni campo dell'esperienza umana.
Anche noi soccorritori del 118 abbiamo a che fare con questa regoletta, si pensa male e ci si azzecca con una certa puntualità.

E' con questo spirito, con quello di chi ha pensato male dunque, che partiamo per una missione in codice verde in una zona centrale di Milano per un paziente "etilico" che ci riferiscono sdraiato in mezzo alla strada. La catena di "pensar male" parte però dal 118 che, ricevuta la chiamata di un passante, rubrica il soggetto sdraiato a terra in una zona generalmente battuta da beoni come il solito ubriaco, che sia un senzatetto o una vittima della movida del venerdì sera starà poi all'equipaggio dell'ambulanza scoprirlo.
Partiamo e lascio immaginare i commenti a bordo, non siamo mai molto contenti di questo genere di servizi dato che i pazienti di solito, oltre ad avere un odore particolarmente incisivo, sono anche poco trattabili ed è facile che inveiscano contro di noi o che, alla peggio, ci vomitino addosso.

Arriviamo sul posto, in un fiorire di sguardi tra il compassionevole e quello di che ormai di ciucchi ne ha visti tanti, e ci avviciniamo al paziente che giace spalmato sul marciapiede con una pozza di vomito a pochi centimetri da lui. Ecco un buon modo per cominciare la serata in servizio, un bell'ubriaco alle otto di sera e ci si chiede cosa succederà alle undici. Mentre siamo impegnati a guardare con disapprovazione lo spalmato, il capo equipaggio lo apostrofa con il solito informale: "Allora, come ti senti? Bevuto tanto?"(sì, perché se bevi e ti sdrai per strada perdi il diritto al "lei").
Il paziente fatica a rispondere e le cose sono due: o ha bevuto veramente tanto, oppure non ha bevuto affatto e si tratta di altro. La seconda tesi è avvalorata anche dalle dichiarazioni del nostro assistito che prima di tutto nega l'assunzione di alcol, e soprattutto ci aggiorna sulla sua storia clinica dalla quale viene fuori che non è nuovo a questo tipo di eventi che sono stati ricondotti dai medici da cui è seguito a vari problemi cardiaci.

Insomma, il paziente passatoci come etilico tanto etilico non è, anzi, è un ragazzo normalissimo (e pure simpatico) che suo malgrado è solito sentirsi cosi male da doversi per forza sdraiare per terra, poi se mangia pure un vasetto di pomodori secchi lo vomita, ma è stato un caso una tantum in onore della nostra ambulanza. 
Dopo averlo accompagnato in ospedale per i controlli di rito è chiaro a tutti che abbiamo sfiorato la figuraccia, ora, è vero che se ti passano il paziente come etilico e quando arrivi trovi uno per terra di fianco al vomito è molto probabile che sia la solita storia, ma è sempre bene dare il beneficio del dubbio anche al caso che sembrerebbe più ovvio. A pensar male si fa peccato e spesso ci si azzecca. 
Spesso, non sempre.


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mercoledì 28 settembre 2011

La colonnina


Girando per le vie di Milano (e non solo ovviamente) è possibile spesso vedere delle ambulanze che sostano tranquille in alcuni punti nevralgici della città. Potrebbe sembrare una pausa che a pranzo un panino e ora non ci vedo più dalla fame, in realtà si tratta di stazionamenti disposti dalla COEU (la Centrale Operativa Emergenza Urgenza del 118) e distribuiti in tutte le zone metropolitane per assicurare una copertura migliore in caso di bisogno.
Si dice "colonnina", e fondamentalmente si tratta di parcheggiare dove si riesce l'ambulanza entro una certa zona data dalla centrale. La colonnina ha i suoi lati positivi come i suoi lati negativi, i quali dipendono in maggior parte, come è facile intuire, dall'ubicazione della stessa: se siamo in Fontana (Piazza Duomo per capirci) o in Oberdan allora si può sperare di non annoiarsi troppo tra il viavai di gente e uno sguardo alla cattedrale gotica simbolo di Milano o languide occhiate alla gelateria in Porta Venezia. Se invece si finisce in Baracca, Vittoria Battisti, Bottini o più o meno qualsiasi altro posto, le cose sono diverse, e l'attesa di un servizio può diventare un'attività estremamente noiosa.

Dalla colonnina dunque si parte per le missioni e, a seconda del codice assegnato (in questo post spiegate le differenze), si fa anche la temuta partenza in sirena che spaventa generalmente un po' tutti i presenti e che trasforma la colonnina da semplice in colonnina sonora (lo so, è brutta).
Questa partenza spumeggiante però non avviene di notte, tranquilli, le colonnine che si vedono in giro per Milano infatti sono operative fino alle 23:30 circa, orario che fa scattare la rapida chiamata alla centrale per essere autorizzati al rientro in sede, luogo da cui partirà l'ambulanza in caso di chiamate notturne. Infatti di notte i mezzi di soccorso non stazionano in strada, ma si rintanano nelle sedi delle rispettive associazioni, da un lato questo vuol dire minore capillarità (compensata però dal minore traffico notturno), ma dall'altro permette ai soccorritori di cenare con più calma e di fare almeno un tentativo di dormire su un letto, invece che sui sedili del mezzo. Dico tentativo perché di notti senza chiamate non ne ho ancora viste, ma almeno il sonno a macchia di leopardo è su qualcosa di comodo.

Che si sia in colonnina o in sede comunque le missioni arrivano per via telematica su una centralina di bordo direttamente in ambulanza, anche se il collega al centralino ha sott'occhio tutta l'attività ed è pronto a coprire personalmente il servizio informatico in caso di guasti o particolari necessità.
Da ultimo diciamo che la colonnina è occasione per fare nuove e interessanti conoscenze: la divisa, si sa, attira l'attenzione, la nostra in particolare però attira l'attenzione di tutti i tipi strani che girano senza meta (o con una meta tutta loro). E' quindi molto probabile che il soggetto in questione, dopo un po' di gironzolare, capiti a ridosso dell'ambulanza per due chiacchiere o per farsi offrire un caffè. 


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sabato 24 settembre 2011

Trattamento Sanitario Obbligatorio


In queste pagine ho sempre cercato di dare una spolverata d'umorismo a temi che magari non sono i più immediatamente ricollegabili a quattro risate tra amici. Il rischio è quello di passare per cinico, ma non è che le alternative fossero molte visto l'oggetto trattato da questo blog: è chiaro che quando la gente chiama un'ambulanza lo fa perché c'è qualcosa che non va, mica ci chiamano per offrirci una bottiglia di champagne (o meglio, è capitato che ce la offrissero, ma solo dopo aver soccorso il paziente). Ecco che quindi a raccontare di notti e giorni in arancione si rischia di farlo deprimendo i lettori, la soluzione è, almeno secondo me, di cercare di raccontare i fatti evidenziandone i lati, se non proprio comici, almeno più frizzanti. Detto questo, oggi si parla di trattamento sanitario obbligatorio, il cui maggiore esponente mondiale è Hannibal Lecter.

Il trattamento sanitario obbligatorio, detto amichevolmente TSO, consiste in un ricovero coatto del paziente psichiatrico o infettivo a tutela della sua sicurezza o di quella degli altri. Tralasciamo l'opzione dell'infettività e concentriamoci sul paziente fuori di melone, che è un po' il grande protagonista di questa storia anche solo perché di infettivi pericolosi non ne capitano mai. Per parlare di TSO è importante specificare l'instabilità del soggetto perché se fossimo in presenza di una persona senza turbe questa potrebbe chiaramente rifiutare le cure, anche se qui si apre l'annoso problema della stabilità mentale: stabile rispetto a cosa? Decidiamo noi perché siamo stabili o perché siamo più degli instabili? E' perché lo stabile può rifiutare le cure mentre l'instabile no? Se volessimo vederla sotto una logica eugenetica questo non ha nessun senso, forse allora la scusa dell'incolumità del paziente è solo un altro modo di proteggere l'incolumità altrui. Ma stiamo divagando: punto, a capo, e riprendiamo.

Farò un esempio così per chiarire bene il meccanismo che scatta in caso del nostro paziente psichiatrico che mette a rischio la sua o l'altrui incolumità.
Ci chiamano in codice giallo in una via del centro di Milano perché da una finestra all'ultimo piano di una palazzina dell'ALER (le case assegnate dal comune ai meno abbienti) c'è una donna che si vuole buttare di sotto. Siamo i primi ad arrivare sul posto e, una volta saliti in casa, cerchiamo di capire cosa stia succedendo e se qualcuno si sia già fatto male. La signora sembra incolume, ma è una furia ed inveisce contro il compagno accusandolo di furto, ricettazione, truffa, contrabbando d'armi e intelligenza col nemico. Lui dal canto suo ha l'aria rassegnata, non che sembri proprio un tipino a modino, però almeno sembra esserci con la testa. Mettiamo in sicurezza la stanza coprendo la finestra senza dare troppo nell'occhio e iniziamo le procedure di rito, ma già nell'aria tre letterine iniziano a intravedersi tra la nebbia del fumo di sigaretta e la puzza di cane bagnato: TSO.
Dopo poco arrivano i pompieri che prendono in mano l'aspetto sicurezza della situazione, seguiti a pochi minuti dai Carabinieri che invece prendono in mano l'aspetto "il primo che da in escandescenza viene con noi".

La paziente sembra essere solita a questi comportamenti, così ad occhio soffre di un bel mix di patologie psichiatriche e Tavernello (il buon vino nel cestello) che la rendono pogo negoziabile, neanche l'arrivo dei figli, accompagnato tra l'atro da una allegra sequela di insulti, può nulla per riportare la calma.
A questo punto l'unica cosa da fare è avvisare il 118 e richiedere la presenza di un medico sul posto, l'unico in grado di prescrivere il TSO. E qui la cosa va per le lunghe, purtroppo infatti i tempi di risposta della Guardia Medica possono essere ottimi come biblici, va proprio a momenti, e manco a dirlo a noi sono capitati quelli biblici. Taglio corto: il medico arriva, prescrive, la signora è fortunatamente convinta a muoversi senza bisogno di coazione e dopo più di due ore in una casa che pareva uscita dal teatro dell'assurdo partiamo alla volta dell'ospedale scortati dai militari.

Non sappiamo cosa sia successo dopo, probabilmente dopo un brevissimo ricovero la paziente è tornata a casa con un sacchettino di psicofarmaci che puntualmente non prenderà, per quanto riguarda il nostro operato possiamo solo sperare che i TSO non capitino spesso, prima di tutto perché, al di la dell'umorismo, non è mai bello vedere certe situazioni. E poi perché sono tra gli interventi che occupano più personale tra 118, 115 e 113/112 portandolo via da altri servizi più utili.


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giovedì 22 settembre 2011

Notte in ambulanza.


Immagino che alcuni dei visitatori di questo blog capitino tra queste pagine per informarsi sull'operato dei Soccorritori del 118, immagino che qualcuno di questi visitatori sia pure interessato a diventare un volontario e cerchi di capire che cosa facciamo veramente e quali sono le situazioni che può aspettarsi durante il servizio.

Bene, per tutte queste persone (sperando che ce ne siano veramente!) ho pensato di fare un post un po' diverso dal solito, oggi non parliamo delle mie esperienze, non racconto di questioni organizzative, ma dedico un po' del nostro spazio a due video che raccontano la notte in ambulanza di due associazioni del capoluogo lombardo: la Croce Verde APM e la Croce Rosa Celeste.
Entrambe le associazioni (ri)animano le notti milanesi con costanza e professionalità, ma bando alle ciance: ecco i video!

Una notte con la Croce Verde APM:


Una notte con la Croce Rosa Celeste:

Attenzione, non tutte le notti in ambulanza sono emozionanti e adrenaliniche, ci sono anche e soprattutto notti che si passano tra gente col mal di pancia e senzatetto ubriachi fradici, ma alla fine si riesce a trovare qualcosa di positivo praticamente tutte le sere, anche solo per le chiacchiere con i colleghi.



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lunedì 19 settembre 2011

Il Massaggio cardiaco



Provate a dire 142 nomi di nazioni diverse, provate. Non è mica così facile vero? Ora pensiamo che Baywatch è stato tradotto in 44 lingue e distribuito appunto nella bellezza di 142 paesi, non c'è da stupirsi quindi che sia la serie televisiva più vista al mondo!
Personalmente non ne sono mai stato un appassionato spettatore, ma ammetto che per un certo periodo della mia vita, a causa più che altro di un fortuito posizionamento temporale, mi è capitato di seguirla. Una cosa mi è rimasta in mente, forse due in effetti, ma solo una di queste ha a che fare con il contenuto delle nostre pagine dato che non trattiamo di chirurgia plastica: la rianimazione in spiaggia. Una puntata sì e l'altra pure il buon Mitch Buchannon si ritrovava alle prese con un bagnante in arresto cardio circolatorio e procedeva al massaggio cardiaco tra gli sguardi trepidanti dei presenti. Inutile dire che quella visione abbia completamente falsato la mia percezione della rianimazione, facendomi credere che si possano riportare in vita i morti con cinque, numero cinque, colpi al torace (ricordo proprio le voci che contavano concitatamente "Uno, due, tre, quattro, cinque!" prima di insufflare e riceversi la sputata di acqua dell'affogato tornato tra i vivi).

Manco a dirlo, nella realtà siamo ben lontani dalla rappresentazione televisiva, siamo ben lontani sotto ogni punto di vista: non siamo sulla sabbia dell'assolata California, non siamo circondati da gente in costume e, soprattutto, il malcapitato massaggiato non si rialza in pochi secondi permettendoci un suadente sguardo di compiaciuta intesa da incrociare con gli adoranti occhioni della bella ragazza di turno.
Accertata l'incoscienza del paziente (non nel senso che sia un tizio che attraversa col rosso bendato, nel senso proprio di mancanza della consapevolezza di se e dell'orientamento nel tempo e nello spazio) lo si dispone su un piano rigido e si controlla la pervietà delle vie aeree. Si controlla che non respiri e che non si muova per 10 secondi e si decreta l'ACC (Arresto Cardio Circolatorio) incominciando le compressioni toraciche. Dopo trenta compressioni (trenta, non cinque) si praticano due insufflazioni con l'ambu e si continua così fino a nuove indicazioni della centrale operativa.

Abbiamo già parlato su queste pagine del corso per diventare Soccorritori e di quanta attenzione venga data alla pratica. Una delle attività maggiormente svolte è l'addestramento al BLS, il Basic Life Support, che comprende tra le altre cose anche il massaggio cardiaco per il quale ci si esercita con dei manichini che simulano più o meno il comportamento della cassa toracica umana e si ascoltano le raccomandazioni degli istruttori: "E' faticoso, dosate la forza, tenete d'occhio i familiari del paziente, attenti alle costole...".
Per esperienza personale, durante un qualsiasi addestramento, si tende a dipingere la situazione più dura di quanto non sia in realtà, così da preparare gli allievi al peggio possibile. Ora, nel caso del mio addestramento BLS posso dire che non fosse un'esagerazione: massaggiare è veramente faticoso, si opera veramente in contesti estremamente pesanti dal punto di vista psicologico e le costole si frantumano veramente sotto le compressioni. Ah, e il paziente non si risveglia.
Il massaggio cardiaco può dunque fare la differenza, ma non è una pratica miracolosa in grado di resuscitare la gente, anche se lo si vede scritto negli occhi di tutti i presenti, soccorritori compresi, che ci si spera sempre.


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venerdì 16 settembre 2011

La colazione dei campioni.



Sappiamo tutti il valore di una buona prima colazione, è fondamentale cominciare la giornata con il piede giusto mangiando con calma e prendendosi un po' di tempo per se stessi. Come lo sappiamo, sappiamo anche che questo non succede quasi mai: tra sveglie stressanti, tazzine di caffè bollente bevute in 3/4 secondi e brioches mangiate in macchina sulla via del lavoro, riuscire a fare una buona colazione rilassata è diventato un lusso.
Bisogna poi vedere in cosa consiste la colazione, qui nel Bel Paese infatti si parla di caffè, cappuccino, brioches ed in generale di piccole quantità di cibi molto dolci. Basta salire al nord Europa però per incontrare una colazione come da immagine d'apertura, a base di salsicce, fagioli, uova, funghi ed ogni altra pietanza che ai più mediterranei provocherebbe un'istantanea nausea mattutina.
Può capitare, però, di svegliarsi di ottimo umore, convinti di poter affrontare tutto, ed è un po' la storia di una missione che è capitata al mio equipaggio qualche tempo fa.

Veniamo chiamati in codice giallo per dei forti dolori addominali in un negozio, ma non un negozio qualsiasi, uno di quei negozietti chic delle vie del centro, ma non una via qualsiasi, una di quelle viuzze dello shopping strette e traboccanti di persone. Lascio immaginare la difficoltà di operare in un contesto del genere: l'autista diventa subito oggetto delle occhiatacce dei guidatori delle poche auto di lusso ferme in coda dietro all'ambulanza, ma del resto non è mica facile liberare la carreggiata in una situazione simile. Non ci sono molti passi carrabili, e quelli che ci sono sono comunque stretti e ulteriormente compressi dal parcheggio selvaggio tipico delle vie del centro, già solo per gestire la logistica ci vuole non poco sangue freddo, ma alla fine sono questioni da autista, e noi entriamo nel negozio per scoprire il perché della chiamata al 118.

Subito ci indirizzano verso il magazzino, dove troviamo a terra una delle commesse: è in posizione fetale, rannicchiata su se stessa, trema, suda freddo ed ha sofferto di rilascio sfinterico (pipì addosso tanto per capirci). Alla nostra vista inizia a dire che non vuole morire, che ormai è finita, che il dolore è insopportabile e soprattutto che non riesce nemmeno ad alzarsi, ormai sembra rassegnata a lasciarci le penne e a farlo proprio lì, nello scantinato del negozio dove lavora. Le diciamo che non è così grave, ma che comunque sarebbe saggio andare in ospedale a fare un controllino. Lei vomita, e poi cerca di strisciare letteralmente su per le scale dicendo che non ha bisogno d'aiuto, che non le serve la sedia a rotelle e che comunque, ribadisce, l'armageddon è alle porte e probabilmente nessuno arriverà al primo pomeriggio.
Per farla breve riusciamo a metterla a forza sulla sedia e, mentre ci dirigiamo verso l'ambulanza, cerchiamo anche di capire cosa sia successo.
"Soffre di qualche malattia? Ha mangiato qualcosa? Ha allergie particolari?"
"Vedo i cavalieri dell'apocalisse, ho solo fatto colazione, pentitevi finché siete in tempo..."
"E cosa ha mangiato signora?"
"Lenticchie e Coca Cola..."
Ebbè, ma allora è chiaro. Io capisco anche il volersi sentire europei a tutti i costi, ma se uno non ha un certo addestramento allora è bene che si mantenga sugli standard cui è abituato. Se invece di brioches e cappuccio ti prendi lenticchie e coca, il minimo che ti puoi aspettare è di avere qualche mal di pancia nel corso della mattinata, tanto più che ad insistere con le magliettine leggere si sa che la pancia prende freddo...!


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mercoledì 14 settembre 2011

I codici di missione.


Quando il 118 passa la chiamata alle varie associazioni lo fa specificando il codice d'invio, codice che è (e fin qui non ci voleva molto) legato alla supposta gravità del paziente che si va a soccorrere. Dico supposta perché la cosa potrebbe essere più grave (raro) o meno grave (capita) di quella che ci si aspetta, questo per un'eterogenea serie di fattori che va dall'incapacità del paziente di specificare bene le sue condizioni all'improvviso aggravarsi (o attenuarsi) della situazione. Ma questa è un'altra storia, rimaniamo sulla carta e facciamo una rapida presentazione dei tre codici che qualificano il livello di urgenza della missione assegnata all'equipaggio di un'ambulanza.

CODICE VERDE
Com'è facile da intuire il verde è il colore delle missioni meno delicate, quelle in cui il paziente non è in pericolo di vita e tutto può essere fatto con relativa calma. Da protocollo non è permesso l'uso dei dispositivi di segnalazione visiva e sonora (prosaicamente la sirena) e quindi ci si ferma a tutti i semafori e si circola come tutte le altre macchine. Tacendo dell'ovvia attenzione che viene comunque prestata è abbastanza ovvio che su un codice verde l'equipaggio non sia proprio in fibrillazione da maxi emergenza, si sa che (a scanso di drammatici peggioramenti) si va incontro ad una situazione tranquilla e si può operare in tutta calma.

CODICE GIALLO
Qui le cose si fanno più complicate, il paziente non è in pericolo di vita, ma le sue condizioni richiedono il celere intervento di un medico, nella maggior parte dei casi per capire esattamente cosa sta succedendo. Sul giallo si va in urgenza e cioè si attaccano le sirene e si buca qualche semaforo. E' il codice più difficile da interpretare durante il viaggio, è piena la storia di gialli che cambiano colore una volta visto effettivamente il richiedente, spesso l'operatore del 118 in dubbio tra due codici assegna quello più grave, meglio una cautela in più che una in meno. Purtroppo capita anche di avere gialli che si rivelano particolarmente impegnativi, un improvviso cambiamento delle condizioni del paziente e ci si può ritrovare ad avere molta, molta fretta.

CODICE ROSSO
Il rosso è il colore dei codici più gravi, il paziente ha immediato bisogno di un medico e la velocità delle operazioni diventa fondamentale: si parte in fretta e si accende subito la sirena, sta poi all'autista riuscire a bilanciare la necessaria velocità con l'altrettanto necessaria attenzione in strada, quattro soccorritori fuori gioco per un incidente non servono proprio a nessuno. In ambulanza, durante il (breve) viaggio, ci si prepara al peggio: si stabiliscono i ruoli nel caso di arresto cardiaco o di incidente stradale per esempio e si fa in modo che tutto vada liscio e secondo i protocolli.

I codici di rientro, quelli cioè di trasporto del paziente, sono un'altra storia e li affronteremo in un altro post. Qui ci tengo a sottolineare soltanto che se vedete un'ambulanza che sfreccia a sirene spiegate si può stare certi che non sia un trucchetto per saltare il traffico e arrivare prima a farsi il caffè, le sirene sono accese per precise disposizioni della centrale operativa di emergenza urgenza (che per quanto riguarda l'area di Milano si trova all'ospedale Niguarda) e per un motivo più che buono, lo stesso che nel dubbio fa assegnare un codice di gravità maggiore: meglio una cautela in più che una in meno.

Nota a margine: tutto quanto detto fin'ora non vuol dire che non sia divertente andare in sirena, anzi, a seconda dell'indole dell'autista può essere un vero giro di giostra!


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lunedì 12 settembre 2011

L'importanza di chiamarsi...


Quando si riceve una chiamata per aggressione ad una donna è possibile capirne la natura (a grandi linee, sia chiaro) dall'ora e dalla zona della chiamata. Se è notte fonda, tipo le 3, e si viene mandati in una strada abitualmente battuta da prostitute è abbastanza probabile che ci sia stato qualche screzio tra la passeggiatrice ed un cliente.

E' con questo spirito che ci si avvia a vedere che succede in codice giallo: una volta sul posto però non si trova nessuno, nessuna donna, nessun uomo, e soprattutto nessun'aggredita. Stiamo per rientrare quando ci accorgiamo di due figure che discutono animatamente in una piccola parallela, facciamo per avvicinarci, ma ci vedono e la donna si butta a terra gridando. Ad ogni passo che facciamo verso di lei le cose si fanno sempre più chiare, la sua figura è alta, massiccia, un 48 di piede e due mani possenti. Non è una lei, non è un trans, è proprio un lui.
Un lui vestito completamente da donna che si agita come un pazzo urlando, non sembra ferito, ma c'è del sangue a terra e non ne capiamo la provenienza. Uno strattone più forte degli altri e cade la parrucca rivelando un taglio sulla testa rasata.

Riusciamo a capire che si chiama Andrea, ma facciamo fatica a gestirlo ed in soccorso arriva una pattuglia della Polizia, gli agenti ci danno una mano a caricarlo in ambulanza e si parte alla volta dell'ospedale in codice verde, non è grave, anche se urla e scalcia come se fosse la fine del mondo. Arrivamo al triage e partono le procedure di rito: ripete di chiamarsi Andrea, il cognome è una cosa tipo Dos Santos Do Nascimiento, insomma, il tipico travestito brasiliano. Cerchiamo di provargli pressione e saturazione ma non ce n'è, si dimena, urla, fatichiamo a tenerlo. Capita con una certa frequenza che alcuni tipi di pazienti siano più agitati del dovuto, ma in questo caso stiamo parlando di un omone ben piazzato completamente vestito e truccato da donna e ovviamente l'immagine ha il suo effetto su tutte le persone presenti.
Andrea stai fermo! Dobbiamo provarti la pressione!
E lui di colpo serio, lucido, chiarissimo: "Ma io non sono Andrea... Io sono Chanel!"

Tutto il pronto soccorso esplode chiaramente in quella risata che veniva trattenuta da minuti aggrappandosi alla professionalità, ma quando è troppo è troppo.


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venerdì 9 settembre 2011

Necessario addestramento e fondamentale esperienza.



Il cammino per diventare un Soccorritore Esecutore (almeno in Lombardia) è moderatamente lungo, ma non particolarmente complesso. Il corso che si deve seguire prima di sostenere l'esame per la qualificazione regionale dura 120 ore, ma tratta più che altro materie che più o meno tutti conosciamo grazie a qualche ricordo dalle ore di scienze alle scuole medie, non sono dunque molte le ore veramente nuove, e queste sono più che altro dedicate all'effettiva attività che si svolge in ambulanza e all'utilizzo dei presidi medici con cui abbiamo a che fare (niente di che, ma è sempre meglio sapere come aprire la bombola d'ossigeno invece che stare a svitarla un po' dappertutto davanti a pazienti interdetti).
Molte ore sono dedicate alla pratica, si ripetono più e più volte degli scenari d'intervento in maniera da fissare nella memoria le procedure e i protocolli, così s'impara a gestire un po' tutto, dall'incidente stradale all'infarto.

Dopo il corso c'è l'esame, a cui magari dedicheremo un post più avanti, dopo il quale per quanto ne sa il 118, il novello soccorritore è in grado di coordinare l'equipaggio di un'ambulanza. Chiaramente non è affatto così, perché se da un lato è vero che dal punto di vista formale nulla distingue il neo certificato dal suo collega con vent'anni d'esperienza, sarà proprio quest'ultima a fare la differenza una volta sul campo con tanti piccoli "trucchi del mestiere" che migliorano le prestazioni.
Sapere come manovrare bene la barella, sapere qual'è il modo meno faticoso di portare un paziente di cento chili giù per cinque piani di scale, sapere che magari un sacchetto della spazzatura può essere utile che non si sa mai, un po' come qualche paio di guanti extra quando si maneggia qualcuno preso a bottigliate... Insomma, l'addestramento è chiaramente fondamentale, ma per essere veramente formati bisogna averne viste tante.

Detto questo potrebbe sembrare che ci sia un tetto massimo alle esperienze, un numero chiuso di tipologie di intervento che una volta esaurito si tratta solo di vedere le repliche. Non è così, anche se è vero che ci sono alcune missioni che sembrano ripetersi con una certa frequenza (anziano caduto in casa, ubriaco in strada, incidente di bassa gravità) capiterà sempre di trovare qualcosa di nuovo.
Magari, dopo dieci anni di esperienza, si viene per la prima volta assegnati al trasporto di materiale biologico da un ospedale all'altro. Niente di particolarmente adrenalinico, solo un piccolo esempio per sottolineare come il bagaglio di esperienza non sia mai veramente pieno.


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mercoledì 7 settembre 2011

Pazzia sì, ma con metodo.


"In linea di massima, a proposito della battaglia,
l'attacco diretto mira al coinvolgimento;
quello di sorpresa, alla vittoria."
Sun Tzu, L'Arte Della Guerra

No, calma, questo non è diventato di colpo un blog dedicato al mestiere delle armi, ma l'aforisma introduttivo ci serve per vedere sotto una particolare luce gli accadimenti protagonisti di questo post. Serve per tenere bene a mente che è più o meno da quando esiste la guerra (e cioè più o meno da quando esiste l'uomo) che l'attacco a sorpresa viene considerato fondamentale nella pianificazione strategica di un combattimento, tanto fondamentale da essere in grado di ribaltare i pronostici fatti sulla carta.

E' una calda notte estiva, la città è ancora mezza in vacanza e basta uscire dalle arterie più trafficate per non trovare che poche macchine stanche qua e la, e vederle scomparire nelle viuzze. Veniamo chiamati per un'aggressione, materia abbastanza comune a Milano di notte, quando siamo sul posto scopriamo la dinamica: il paziente stava camminando tranquillamente sul marciapiede quando viene raggiunto da un violento colpo alla nuca che lo fa piombare sul selciato e perdere conoscenza per più di un'ora. Quando si sveglia vede una pattuglia dei Carabinieri e si avvicina, così da scoprire che in zona si sono verificati altri tre casi analoghi al suo, pare ci sia uno squilibrato in giro che va a spasso ad aggredire la gente.
Il nostro intervento si limita a poche medicazioni, il ragazzo non lamenta particolari dolori, ma quello che ci stupisce è proprio il soggetto: è alto, quasi uno e novanta, rasato e ben piazzato, si vede che fa sport. Viene fuori che sono dodici anni che è al massimo livello di kick boxing e che ha passato 2 mesi in missione con l'Esercito nei Balcani.
E' il prototipo del tipo che non va disturbato, e nonostante questo è bastato un solo colpo per mandarlo KO sul marciapiede.

I Carabinieri fermano un tizio, magrolino, con la faccia sconvolta, chiaramente alterato da chissà quali sostanze e chissà quali situazioni psicologiche, potrebbe anche essere uno dei nostri clienti abituali. Al confronto col nostro paziente peserà meno della metà. Dubito abbia mai letto Sun Tzu, od un qualsiasi altro trattato di strategia militare, ma forse in certi casi basta l'istinto per conoscere la forza dell'attacco a sorpresa.


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