venerdì 28 ottobre 2011

La pulizia dell'ambulanza



L'igiene è importante, soprattutto se si parla dell'igiene negli ambienti dove sono trattate le persone con qualche problema di salute.
Ora, io non sono per niente uno di quei fanatici ossessionati dal lavaggio delle mani o dalla disinfezione, ma quando si opera come soccorritori su un'ambulanza bisogna alzare il livello d'allerta vista la particolare condizione in cui ci si trova.

In ambulanza sale un po' di tutto: dall'ubriacone all'incidentato passando per il senzatetto, è tutto un fiorire di liquidi organici, germi e schifezze varie. Tutte queste schifezze poi se ne stanno in uno spazio relativamente ristretto, anche se per poco tempo, e sono sostituite dalle schifezze analoghe del paziente successivo, insomma, in ambulanza è fondamentale tenere pulito perché sennò si farebbe un servizio di trasporto malattie invece che di trasporto pazienti.

Il primo accorgimento che si usa è il telo: una specie di coperta plastificata che viene stesa sulla barella prima di farci sdraiare il paziente così da prendere due piccioni con una fava. Prima di tutto si evita il contatto diretto con materiali più influenzabili dalle condizioni igieniche o di salute del trasportato, e in secondo luogo si facilita incredibilmente l'operazione di pulizia. Infatti, depositato il nostro passeggero al pronto soccorso, si procede alla pulizia del telo con un prodotto appositamente studiato, e si sostituiscono federe e lenzuolini monouso ammesso che siano stati usati.
Nella stragrande maggioranza dei casi questa è l'unica operazione necessaria, il paziente medio non sporca in giro, ma può succedere di dover adottare qualche accorgimento in più in casi particolari, non sempre legati alla gravità delle condizioni del paziente, ma a volte semplicemente conseguenza del comportamento dello stesso.

Faccio un esempio: una notte, verso le 4, veniamo chiamati in codice rosso per un incidente auto-auto in circonvallazione esterna, una delle vie più trafficate anche in piena notte. I presupposti per una situazione tragica ci sono tutti, quindi in ambulanza ci si prepara a gestire un arresto cardiocircolatorio o in generale una o più lesioni gravi. Quando arriviamo poi la situazione non è delle migliori: illuminata dai lampeggianti della Polizia Locale una macchina giace a testa in giù sopra un letto di vetri, ma non c'è traccia dell'autista al volante. Lo individuiamo pochi metri più in la, tranquillamente seduto per terra, che parla al cellulare. La meccanica del sinistro non è chiarissima, ma sono questioni della Locale e noi ci limitiamo a caricare il paziente in ambulanza alla volta del pronto soccorso designato. Qui comincia la parte che ci interessa in questa sede: il nostro automobilista è sporco di sangue, non in maniera incredibile, ma comunque ne ha in quantità su mani e testa, di solito una persona in quelle condizioni se ne sta buona in attesa di essere trattata, lui invece inizia a toccare in giro un po' tutto. Allunga le mani verso i cassetti, verso l'aspiratore, verso parti della barella mai toccate prima da comuni mortali. Insomma, dopo averlo lasciato in ospedale siamo costretti ad una pulizia straordinaria.


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lunedì 24 ottobre 2011

Saturday night fever



Per i meno anglofoni: la febbre del sabato sera. Sì perché a Milano, il sabato sera, sembra che l'aria prenda  una composizione chimica diversa e si colori di chissà quali misteriose molecole, etanolo soprattutto.
Il sabato nella capitale lombarda è segnato dalle zone della movida meneghina: San Lorenzo, i navigli, Brera, senza contare i vari locali sparsi più o meno a macchia di leopardo per tutto il territorio urbano che sputano in strada gente alla ricerca di una dimensione parallela, alla ricerca di un mondo diverso dalla routine di tutti i giorni.

La porta principe per la diversità si chiama sbronza, e i maggiordomi di questo fantastico mondo alcolico siamo noi, i soccorritori. Siamo maggiordomi nostro malgrado, non è che uno decida di indossare la divisa arancione per andare a raccattare gente ubriaca fradicia. A quanto pare non c'è abbastanza sofferenza nel mondo occidentale che le persone se la cercano, o forse è solo una questione di noia, di soggetti incastrati in un lavoro odiato, ce ne sono tanti e molti di questi cercano una via d'uscita priva di pensieri.
Va bene, cercherò di non fare la paternale, che di ciucche me ne sono prese tante anche io, ma mi chiedo come si possa stare così male da dover chiamare un'ambulanza. Ora, a tutti capita di esagerare, e a molti capita di esagerare proprio tanto, ma non ho personalmente visto mai nessuno perdere quel minimo di dignità che ti trascina fino all'androne più scuro dove smaltire lontano da occhi indiscreti.
A quanto pare invece i ragazzi oggi si ubriacano e poi si spaventano, non reggono lo stupore della sostanza e chiamano i soccorsi tutti preoccupati, ma dov'è il senso?

Il sabato sera, a Milano, capita che passando per un pronto soccorso a caso si stupiscano se non ci si porta dietro il solito ragazzo ubriaco, cioè, se gli porti uno con una colica fai qualcosa di strano.
La cosa che stupisce è che nelle zone stracolme di persone alla ricerca di qualcosa di eccitante poi non ci sia particolare allarme alla vista di qualcuno stramazzato al suolo, qualcuno magari chiama il 118, ma i più continuano la loro serata come se nulla fosse, che tanto è normale umiliarsi in pubblico.
Allora arriviamo noi, tentiamo l'approccio morbido e non otteniamo niente, proviamo con le stimolazioni dolorose e non otteniamo niente, allora cerchiamo di indirizzare il paziente verso una zona meno in vista così da evitare future chiamate al pronto intervento, che tanto il tizio in questione ha solo bisogno di dormire. Dorme senza orgoglio, senza onore, senza giacca. Dorme per terra, e lunedì torna in ufficio a fingere.


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lunedì 17 ottobre 2011

La gente della notte



La notte è diversa. Non è solo una questione di luce, di stanchezza o di negozi chiusi, è proprio un mondo parallelo legato da fragili ponti con la vita di tutti i giorni.
Il buio avvolge cose e persone con un aura di mistero, gli androni dei palazzi diventano ricovo per senzatetto e sbandati, i giardinetti raccolgono i soggetti più strani con la facilità con cui si raccolgono i funghi senza ciabatte in piscina, le macchine diventano strane creature, predatori di semafori lampeggianti incredibilmente silenziosi e rapidi. Ci si danno gli appuntamenti più strani la notte, per fare le cose più strane, le cose che la luce del giorno mette a nudo e non tollera. La notte è il momento per andare a lucciole, ce ne sono tante, per tutti i gusti e in tutte le zone della città. Si spegne il sole e si accendono le insegne al neon dei locali per soli uomini (o uomini soli, come si dice), lap-dance, american bar, night club, alcuni prestigiosissimi e con l'obbligo della giacca, altri poco più che bettole prese in prestito da un sobborgo di qualche scalcagnata città caraibica.

Di notte si puliscono le strade, ed è impressionante quanti cumuli di spazzatura vengano lasciati in giro.
Di notte si sporcano le strade, ed è impressionante quanta gente "sporca" venga lasciata in giro.
Al buio lavorano anche i soccorritori, e con una posizione privilegiata: la divisa permette di rompere facilmente lo sguardo torvo di chi nella notte ci vive, quello sguardo tipico del sospetto e dell'esperienza. La nostra divisa permette di avvicinarsi, le divise più sul blu invece sono guardate da lontano, in un guardie e ladri che ha come parco giochi tutta la città, si rincorrono in continuazione e durante le uscite in ambulanza capita di incrociare più volte la stessa pattuglia nelle zone più diverse.

Le sirene dell'ambulanza (e non solo le nostre) di notte funzionano meglio. Il rumore non è coperto dal sommesso borbottare dei motori, e la luce blu schiaffeggia palazzi e finestre incautamente lasciate senza protezione. Ma la gente della notte non si scompone molto, è assolutamente normale per loro vedere sfrecciare un qualche mezzo di soccorso, noi siamo gli abitanti della notte che al contrario degli altri fanno di tutto per essere visti, e spicchiamo in mezzo a una popolazione che si mescola abilmente alle ombre.

La notte è più bella, quando si termina il servizio e si lascia la sede per tornare alla vita di tutti i giorni, tra le 6 e le 7 del mattino mentre tutto si sta rimettendo in moto, si sente la mancanza di quella dimensione parallela, il giorno è così chiassoso e costruito, mentre la notte anche la nostra sirena trova un posto tra gli altri rumori.
La notte, la maschera che portiamo non regge, appassisce, e si vede sotto.


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venerdì 14 ottobre 2011

Calma e sangue freddo



Giusto nello scorso post si parlava di come capiti spesso di ricevere chiamate per un anziano caduto, quando un sabato pomeriggio dunque ci mandano in codice giallo per una caduta in casa sappiamo già cosa aspettarci, anche se il 118 non è prodigo di dettagli.

Arriviamo sul posto, è una splendida giornata di sole primaverile e la squadra è allegra, prepariamo già barella e sedia cardiopatica (si cerca di evitare ai pazienti anziani di camminare, soprattutto se sono reduci da una caduta) e ci avviamo su per le scale.
Una volta al piano veniamo accolti dal figlio del padrone di casa, è abbastanza agitato e ci indirizza verso la stanza dove è avvenuto l'evento di nostro interesse, facciamo per aprire la porta e ci si para davanti una scenda che definirei senza grossi problemi come inaspettata: su una poltrona, in un angolo, sta un signore sull'ottantina, si guarda in giro con l'aria di chi fatica a stupirsi delle cose, che ne ha viste tante lui, e ci accoglie con un cortese "Buon pomeriggio". Dal lato opposto c'è un letto sfatto, ai piedi del quale giace mugolante una signora sulla quarantina, sporca di sangue e con una pozza dello stesso che si estende tutt'attorno alla testa.
Come ci avviciniamo alla signora sale forte l'odore del vino, e capiamo che qualcuno nella stanza ci ha dato dentro con l'alcolico succo d'uva e, così ad occhio, il nostro signore composto non ha affatto l'aria di chi alza il gomito. Insomma, la caduta non è dell'anziano, è la badante ucraina che si è presa una ciucca di tutto rispetto di sabato mattina ed è capitombolata dal letto battendo la testa contro lo spigolo del comodino.

Non si finisce mai di vederne, la situazione (volendo ignorare le condizioni della paziente) ha del comico: il badato che chiama il 118 per la badante caduta in casa, un'inversione dei ruoli inaspettata e resa ancor più surreale dalla calma serafica del nostro vecchietto che ci spiega come, una volta alzato, si sia stupito per l'assenza del suo aiuto domestico e, trovandola in quelle condizioni, abbia con molta serenità chiamato l'ambulanza e il figlio senza alzarsi dalla poltrona, con una sicurezza degna del miglior Clint Eastwood. La badante dal canto suo si sta riprendendo, chiama a raccolta tutta una serie di divinità che purtroppo sfuggono alla rubrica del soccorritore medio per poi finire con l'evocare l'Altissimo in suo aiuto. E' abbastanza convinta di essere più di la che di qua, probabilmente il sangue l'ha impressionata, ma anche se ha un brutto taglio sull'arcata sopracciliare così ad occhio supererà il trauma.


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mercoledì 12 ottobre 2011

L'età dell'ambulanza


"E gli anni passano,
i bimbi crescono,
le mamme imbiancano..."
(Tutte le mamme, 1° premio Sanremo '54)

Molto italiano come pezzo, solo a noi poteva venire in mente di fare una quasi ninna nanna dedicata alla mamma, per fortuna che Battiato ci ha ironizzato su nella sua Bandiera Bianca ("...com'è difficile restare padre, quando i figli crescono e le mamme imbiancano...") alleggerendo un po' quella retorica tipica di una certa canzone italiana (ma il dubbio che fosse sincera ingenuità rimane ancora). 
Vedo occhi smarriti, e ci credo! Di colpo sembra che qui sia cambiato l'argomento e si stia incominciando a parlare di musica, ma tranquillizzo subito i lettori dicendo che la citazione d'apertura mi serviva per introdurre il tema di oggi: l'età più comune dei pazienti che richiedono un'ambulanza al 118.

La citazione mi faceva comodo perché, se volessimo identificare il paziente in percentuale più comune, si tratterebbe proprio di quelle mamme imbiancate (o nonne, o senza volere affibbiare una connotazione parentale semplicemente anziane) di cui cantavano negli anni cinquanta tra i fiori della città ligure.
Mi sono chiesto se fosse veramente il caso di mettere a nudo la situazione di debolezza in cui si finisce con l'arrivo della senilità, ma alla fine su queste pagine preferisco dire le cose chiaramente e, dopo aver parlato di travestiti, barboni, fessi e gente instabile, è arrivato il momento delle vecchine.

Prima di tutto dobbiamo dire che da un certo punto di vista è pure cosa buona che gli interventi più comuni siano richiesti da anziani, vuol dire che i giovani stanno bene e che tutto sta andando secondo natura, ma dall'altro ci si rende conto di come spesso le persone di una certa età vengano lasciate un po' a loro stesse e di come in realtà sia necessario un continuo occhio di riguardo. In secondo luogo è il caso di chiarire una cosa: perché mi concentro sulle mamme imbiancate e non sui papà ingrigiti? Ma perché per una questione genetica le donne vivono più a lungo dei maschietti e così è ovvio che le vedove siano di più delle sposate o dei vedovi.
L'evento più comune per i pazienti più comuni è la caduta: che si tratti di caduta in casa o per strada è un evento che, contrariamente a quanto l'esperienza insegna ai giovanotti, può portare con se un bel grappolino di tristezze. Prima di tutto si prendono le facciate e ci si taglia tutti, la pelle degli anziani è più delicata e ci vuole meno, poi si rischia di rompere qualche osso, oppure di lussare qualche articolazione tanto da impedire la riconquista della posizione eretta. Quindi, se in mezzo alla strada c'è sempre qualcuno che aiuta, questo può essere invece un problema se il paziente è solo in casa, succede più di quanto si possa pensare che l'anziano caduto passi anche un giorno intero per terra prima che qualcuno si accorga dell'accaduto, il che porta con se anche l'impossibilità di andare in bagno con le ovvie conseguenze.

Purtroppo la disattenzione per i nostri anziani è materia comune a tutte le classi sociali, i soldi possono pagare una badante, ma non possono tenere compagnia al paziente. Si assiste dunque a un'inversione delle fortune, con le persone meno abbienti che sono più portate a solidarizzare tra loro, forse per un'abitudine maturata nel corso della vita, mentre le anziane benestanti sono aggrappate alle sporadiche visite dei nipotini.
Attenzione, è chiaro che se arriva l'ambulanza è perché c'è un problema, quindi i racconti che faccio io non sono specchio di tutta la società, ma solo di quella parte della società che chiama il 118.


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lunedì 10 ottobre 2011

La crisi epilettica


Chi è quel coso giallo nell'immagine di apertura? Molti di voi l'avranno riconosciuto, agli altri presento Pikachu, il più famoso dei Pokemon. Cosa c'entra Pikachu con l'epilessia? Forse ricorderete che, qualche anno fa, un episodio del famoso cartone animato venne bloccato a seguito di una crisi epilettica che colpì quasi settecento bambini in Giappone proprio mentre guardavano lo pseudotopo giallo emanare luci intermittenti. Si trattava di epilessia fotosensibile, e mi pareva un buon modo di iniziare pacioccosamente un post dedicato ad un tema invece molto delicato.

Il soccorritore, durante il servizio in ambulanza, incontra relativamente spesso l'epilessia. Abbiamo già detto qui di come ci sia una curiosa incidenza di epilettici tra i senzatetto, ma ovviamente non parliamo soltanto di loro dato che l'epilessia, nonostante colpisca meno dell'uno percento della popolazione italiana, è una malattia che, quando si manifesta, nella stragrande maggioranza dei casi porta con se una chiamata al 118.

La chiamata è quasi certa perché la crisi epilettica (o almeno quella che noi tutti intendiamo come tale) è un evento particolarmente appariscente che consiste in perdita di coscienza e spasmi muscolari, sfido io a non chiamare un'ambulanza.
Dicevamo dunque che il soccorritore incontra relativamente spesso l'epilessia, vero, ma incontra relativamente di rado la crisi. Infatti quest'ultima non dura più di qualche minuto al massimo ed è difficile che i soccorsi riescano ad arrivare prima della fine dell'episodio interessante. Se il paziente non si è fatto male dunque, il lavoro del soccorritore consiste esclusivamente di monitorarne rapidamente i parametri e di trasportarlo in ospedale in caso desideri accertamenti, certo, nel caso invece il paziente abbia colpito qualcosa, o peggio, si sia morso la lingua allora le cose si fanno più dure.

Dato il tardo arrivo dei soccorsi rispetto alla crisi sarebbe bene che gli astanti fossero in grado di dare una risposta consona al presentarsi degli spasmi, ma ci sono dei luoghi comuni che rischiano di fare più danni di quanti ne prevengano. Vediamo dunque come comportarsi in caso si assista ad una crisi epilettica.
La prima cosa da fare è, ovviamente, chiamare (o far chiamare) il 118. Prima arriva l'ambulanza e prima i soccorritori possono intervenire sul paziente.
Effettuata la chiamata si devono allontanare dal paziente tutti gli oggetti contro i quali può involontariamente sbattere: se siamo all'aperto, per esempio ad un bar, bisognerà allontanare tavolini, sedie e camerieri. Nel caso la crisi non sia così grave da gettare a terra il paziente si può cercare di sorreggerlo senza però costringerne i movimenti, cercare di contenere le convulsioni infatti è uno degli errori più comuni che può danneggiare tutte le persone coinvolte.
Cosa fondamentale da fare è inserire nella bocca del paziente qualcosa che possa mordere, una cintura è l'esempio classico, così da impedirgli di ferirsi la lingua. L'emorragia a questo muscolo infatti è una delle più difficili da gestire, un po' perché sono presenti molti vasi sanguigni, e un po' perché il sangue che fuoriesce copioso rischia di soffocare il paziente. Attenzione però a non afferrare la lingua con le dita per proteggerla, si rischia di dire addio per sempre a qualche falange mentre si rimane stupiti da quanta forza possa esprimere un essere umano con un morso.
A crisi terminata bisogna lasciare che il paziente riposi e fare attenzione a eventuali fenomeni di vomito che potrebbero intervenire rischiando di occludere le vie aeree.

L'eziologia dell'epilessia non è ancora precisamente nota alla scienza medica nonostante ci siano delle cure, risulta dunque fondamentale una corretta trattazione delle crisi, con pochi semplici accorgimenti infatti si possono prevenire le più gravi conseguenze.


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venerdì 7 ottobre 2011

Tecnologia in ambulanza



La scomparsa di Steve Jobs parrebbe un evento lontano da queste pagine, un evento che non riguarda chi opera come soccorritore in ambulanza. Ora, da un certo punto di vista è senza dubbio così, ma dall'altro è occasione di riflettere su come la tecnologia cambi le nostre vite e su quanta ce ne sia a bordo dei mezzi di soccorso.

La pubblica assistenza è cambiata radicalmente negli ultimi anni, e lo fa a ritmi sempre maggiori in una spirale di evoluzioni che ha come punto d'arrivo (inarrivabile) la perfezione. Il fatto che non si possa arrivare in cima però non vuol dire che si debba smettere di salire, ed ecco dunque che, con cadenza più o meno regolare, le apparecchiature in dotazione agli MSB (Mezzi di Soccorso di Base) vengono aggiornate.

Partiamo dal vano guida dove, oltre all'ovvio navigatore satellitare (da non usare in emergenza, è bene che l'autista sappia dove sta andando a prescindere da aiutini esterni), troviamo la radio che ci collega alla nostra sede, la radio del 118, e il computer di bordo, vero signore del cruscotto.
Se la funzione delle radio è abbastanza ovvia, potrebbe meritare qualche spiegazione il computer di bordo: si tratta di uno schermo sensibile al tocco tramite il quale si comunica con la centrale operativa del 118. Sul computer arrivano le chiamate dettagliate (oltre al luogo, anche l'evento, il nome del paziente, l'età, le coordinate satellitari per ogni evenienza e varie informazioni extra) e dal computer si mandano gli aggiornamenti in centrale (dove si trova l'ambulanza, vari dettagli sull'effettiva natura della missione e altro ancora). Insomma, è chiaro che grazie ad uno strumento del genere l'operato delle ambulanze è reso più semplice e tempestivo grazie alla tecnologia, basta pensare a tutti i passaggi "centralinistici" saltati.
Da ultimo, collocato nei sedili anteriori solo perché si trova attaccato alla giacca del capo equipaggio, troviamo il rilevatore di monossido di carbonio, novità degli ultimi mesi.

Passiamo al vano posteriore, dove si tratta effettivamente il paziente, dove si trovano tutti i presidi medici e dove la tecnologia è tanta. Si va dalla centralina che controlla areazione, ossigeno, luci, stato delle batterie e sicuramente altro che al momento non ricordo, ai presidi che effettivamente ci portiamo a spasso fuori dall'ambulanza e che meritano una trattazione pezzo per pezzo.
L'aspiratore è un aggeggio che... beh, aspira. E' pensato per risucchiare liquidi (biologici e non) dalle vie aeree del paziente permettendo così l'ossigenazione.
L'elettrocardiografo portatile (o ECG per noi intimi), ci permette di controllare approfonditamente la situazione cardiaca del paziente e di comunicarla elettronicamente alla centrale operativa direttamente con lo stesso apparecchio.
Il DAE, il defibrillatore automatico esterno, somministra una scarica elettrica mirata a regolarizzare il ritmo cardiaco. Non riporta in vita la gente, e infatti non scarica se il battito è completamente assente. Alla sua accensione si avvia un una registrazione che raccoglie tutto quello che succede attorno all'apparecchio trasmettendolo, ad operazioni concluse, alla centrale per garantire il corretto svolgimento delle procedure. Da segnalare che il DAE va utilizzato all'interno di un protocollo più ampio che comprende il massaggio cardiaco, di cui abbiamo parlato qui.
Last but not least abbiamo il saturimetro che permette di misurare la percentuale di emoglobina legata ad un gas (si spera ossigeno). Applicato a un dito del paziente emette un raggio laser che controlla che i globuli rossi stiano girando carichi, non è in grado di dirci che cosa trasportino, ma in situazioni standard si tratta di ossigeno (per esempio, in caso di monossido di carbonio, il saturimetro trasmetterebbe magari dati a prima vista confortanti a fronte di una situazione invece tragica).
Ci sarebbero anche termometro e sfigmomanometro elettrici, ma sono strumenti che si trovano in molte case e che non meritano una trattazione dedicata.

Probabilmente ho lasciato indietro qualcosa, ma anche dalle apparecchiature elencate ci si rende conto di quanto sia fondamentale la tecnologia nel primo soccorso. Solo dieci anni fa le cose non erano così semplici e magari fra dieci anni lo saranno ancora di più.


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mercoledì 5 ottobre 2011

I tempi d'intervento



Il tempo che passa tra la chiamata dell'utente al 118 (ma questo discorso vale anche per 115, 112 e 113) è spesso vissuto da chi aspetta i soccorsi come eterno: i secondi si allungano e i minuti sembrano non passare mai, poi, da lontano, si sente la sirena. Ma cosa succede nell'arco temporale che va dalla chiamata all'arrivo di soccorsi? E come mai a volte ci vogliono pochi minuti e a volte magari passa un quarto d'ora?

Il primo fattore in grado di modificare il tempo di risposta della macchina dei soccorsi è chiaramente l'entità dell'intervento richiesto. Abbiamo già parlato qui dei codici di missione e di come il colore assegnato influisca non poco sulle tempistiche: con un rosso (o un giallo) si arriva in poco tempo, il verde (senza sirena) invece si fa attendere.
Dobbiamo poi calcolare la distanza dell'mezzo di soccorso inviato: se partiamo da una colonnina vicino alla zona d'intervento è chiaro che ci vorrà meno rispetto ad un invio dall'altra parte della città. Ovviamente la centrale del 118 sa dove si trovano le sue ambulanze e invia quella più vicina, ma può capitare che i mezzi in zona siano già impegnati costringendo così un equipaggio lontano ad attraversare quartieri su quartieri.
L'orario della chiamata influisce sulla velocità di risposta in maniera indiretta, quello che influisce direttamente è il traffico. Infatti, se la chiamata arriva alle 3 del mattino, le strade sono quasi deserte e sfrecciano una via l'altra, se la chiamata arriva invece alle 18, quando tutti escono dagli uffici, ecco che anche fare un paio di incroci può diventare un'impresa non da poco, che si sia in sirena o meno.
Diciamo però che l'assenza di traffico notturno è bilanciata dal fatto che i soccorritori invece di stare in ambulanza in attesa stanno dormendo in un letto, e quindi ci vuole quel paio di minuti per infilarsi gli scarponi e scendere in ambulanza (non si pensi che la si prenda comoda però, se arriva un codice rosso in meno di un minuto l'ambulanza è già in moto).

"Sai qual'è il bello del caos? E' equo." Così diceva Joker ne Il Cavaliere Oscuro, e in effetti non possiamo che convenire con lui, funziona persino con l'anagramma. Il caso è equo, e anche il caso (non certo il caos) può essere uno dei fattori che vanno a influire sui tempi di risposta della macchina dei soccorsi. Se la chiamata arriva da una via conosciuta all'autista non si perde tempo a controllare, se ci sono dei lavori stradali inaspettati il tragitto si allunga, se si buca una gomma, o peggio, se l'ambulanza fa un incidente ecco che il 118 deve far intervenire un altro mezzo, insomma, il caso ci mette il suo zampino e può (non necessariamente) avere la sua parte.

Ecco dunque che se arriva un codice rosso, alle cinque del mattino, per un incidente stradale, nel giro di cinque minuti sul posto ci sono due ambulanze, due autopompe dei Pompieri, due auto della Polizia Locale, l'Automedica e una jeep dell'esercito che passava di lì e si è fermata a vedere se serve aiuto.
Se invece la chiamata arriva alle 21:30, in verde, per un tizio che ha alzato il gomito al ristorante e gli amici non sanno bene come continuare la serata, allora la cosa può andare più per le lunghe.


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lunedì 3 ottobre 2011

Un mese de il Lettighiere



Di solito questi post si fanno dopo un anno di vita, oppure alle 10.000 visite, ma lasciatemi prendere una pausa dai consueti racconti di notti e giorni in ambulanza per dare un'occhiata all'andamento di questo blog nel suo primo mese di vita. Mese che, anticipo subito, è andato oltre le mie più rosee aspettative!

Ho deciso di iniziare a scrivere questo blog perché mi sembrava non ci fosse inspiegabilmente niente di simile in giro per la rete: nessun blog dedicato all'esperienza del soccorritore in ambulanza, nessun blog dedicato al 118 a Milano (e, perché no, anche nel resto d'Italia che mi sa che i miei racconti vanno più o meno bene dappertutto), e soprattutto nessun blog scritto da me. Ecco dunque che ho maturato un po' di idee (vè che trovare un nome non è stato facile), preso l'indirizzo http://lettighiere.blogspot.com e fatto la grafica (oddio, non è che sia un'opera da esporre al MOMA, ma, dai, non è male comunque).

Ma bando alle ciance, com'è andato questo primo mese de il Lettighiere?

VISITE: 777
MEDIA VISITE AL GIORNO: 25,9
PUNTA MASSIMA: 59
PUNTA MINIMA: 3

Non male per un blog appena nato, credo, non ho molta esperienza in materia. Languono un po' i commenti, solo due, ma del resto quella di spingere all'interazione l'utenza è un'annosa questione per i siti internet. Se da un lato infatti sui social network come Facebook e Twitter è tutto un fiorire di commenti e "Mi piace", sui blog è tutto un altro discorso e per cento persone che guardano solo una commenta. Si chiamano lurker in gergo, sono gli utenti silenziosi, e sono la maggioranza. Ora, non che sia un particolare problema, anzi, solo che un po' di interazione in più non mi dispiacerebbe anche per sapere il parere di chi capita su queste pagine (colgo l'occasione di ringraziare quelle due persone che l'hanno fatto: daje).

Bene, niente paura, non è che ora mi metterò a fare un post di questo genere ogni mese, per le statistiche ci rivediamo tra un anno, ma mi piaceva rendere partecipi i miei venticinque lettori (aaah! Cita Manzoni! Genio! Colto! Sottile!) di quelli che considero risultati positivi.


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